I figli degli Uomini: alla faccia del Pianosequenza

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Alfonso Cuaròn ci mostra un futuro prossimo.

I figli degli uomini è la sua riflessione sulla tragedia incombente: il 2027 è fantascienza o premonizione?

La razza umana rischia l’estinzione e le previsioni del messicano ci danno per spacciati: quel futuro ipotetico non è poi così lontano.

Una Londra futurista, più grigia e anemica che mai, fa da sfondo ad uno scenario apocalittico, dove un’umanità cannibalica e spaurita si scontra selvaggiamente senza esclusioni di colpi.

Lo scontro a fuoco che imperversa, dove i proiettili vaganti condizionano il destino dei singoli personaggi, ricorda uno spaccato della guerra jugoslava, impietosa sui civili e i loro palazzi trivellati.

Un film corale che ha in pochi eroi protagonisti lo scopo messianico di evitare l’estinzione della specie e di raggiungere un santuario sul mare per garantire al nascituro, che alberga nel ventre di una giovane donna, il prosieguo della vita.

Sono, infatti, trascorsi ben diciotto anni dalla nascita dell’ultimo bambino e l’eccezionalità dell’evento che si ripete coordina le azioni di un’umanità goffa e sgangherata, che ha smarrito ogni barlume di buon senso.

Crede solo nella legge della violenza, inghiottita com’è da un oblioso senso di totale sbandamento.

La tensione narrativa, che ci fa deambulare in un cieco e claustrofobico corridoio di speranza, non è l’unica tecnica ipnotica: un lungo e straordinario piano sequenza – tre minuti e mezzo di pura adrenalina – ci trascina a forza in un sanguinolento inseguimento.

La macchina da presa metamorfosa magicamente nello stesso veicolo che trasporta i personaggi, pedinati passo passo da un’inquadratura asfissiante e concitata: alla faccia del pianosequenza!

L’atmosfera di accorta ilarità sorprende i passeggeri dopo l’aggressione all’automobile da parte di un manipolo di rivoltosi, fino al momento topico dello sparo che colpisce Julian (Julianne Moore), mentre ci immedesimiamo nella mano di Theo (Clive Owen), nel tentativo disperato di fermare l’emorraggia della donna.

Questa, la scena madre, che ai più accorti non sarà certo sfuggita, ci tiene col fiato sospeso.

La finzione scenica diventa il doppio della realtà e un vortice di emozioni ci rende compartecipi di ogni sussulto dei protagonisti e con essi riemergiamo sconvolti dalla lunga apnea del pianosequenza.

Ma l’eclettico regista, che del pianosequenza fa una personale nota stilistica, non è il solo avvezzo a questa tecnica straordinaria: Orson Wells, Stanley Kubrick, Martin Scorsese, Paolo Sorrentino, Alejandro Gonzalez Inarritu e molti altri hanno reso sempre più umano lo sguardo indagatore della cinepresa.